La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 6260/2016, ha stabilito che le assenze ingiustificate non sono da ritenersi meno gravi quando si verificano durante un periodo di demansionamento del lavoratore tale da comportare anche la completa inattività.
Essendo la prestazione lavorativa il dovere primario del lavoratore, la Corte ritiene legittimo il licenziamento comminato in questi casi.
La pronuncia in questione si pone in contrasto con la precedente giurisprudenza di legittimità (sentenza n. 1693/2013 tra tutte) che, in base al principio di autotutela nel contratto a prestazioni corrispettive enunciato dall’articolo 1460 c.c., ha ritenuto legittimo il rifiuto da parte del lavoratore subordinato di svolgere la prestazione lavorativa nel caso di adibizione a mansioni inferiori, sempre che il rifiuto sia proporzionato all’illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme a buona fede.
A tal riguardo, giova ricordare che in tema di demansionamento è recentemente intervenuto il Legislatore, con il D.lgs. n. 81 del 2015, il quale ha previsto molteplici ipotesi di demansionamento: nei casi di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore, nei casi previsti dai contratti collettivi, in alcune ipotesi di accordo tra lavoratore e datore di lavoro.
Data rilascio: 17.5.2016