Con sentenza n. 3133 del 1° febbraio 2019, la Corte di Cassazione, confermando la decisione della Corte di Appello di Brescia, ha affermato la legittimità del licenziamento di una impiegata amministrativa a tempo parziale che durante l’orario di lavoro e in un arco temporale di 18 mesi aveva effettuato oltre 4.500 accessi sul Social Network Facebook “per durate talora significative”.
La Suprema Corte ha infatti respinto le tesi difensive, che si basavano sul fatto che il recesso avesse avuto natura ritorsiva, in quanto avvenuto dopo la richiesta di fruizione dei permessi ex L. 104/1992 e sul fatto che il datore di lavoro avesse violato le disposizioni a tutela della privacy ed ha sostenuto che la gravità del comportamento risultava essere “in contrasto con l’etica comune”. La Corte di Cassazione ha affermato che non era stata violata alcuna norma sulla riservatezza, in quanto il datore di lavoro, senza entrare nel merito dei contenuti della “navigazione in internet”, aveva contato le violazioni attraverso la cronologia del computer, concesso in dotazione alla lavoratrice, per adempiere alla prestazione lavorativa.
La Suprema Corte ha dunque riconfermato la decisione della Corte di Appello di Brescia, che con sentenza n. 73/2016aveva affermato che “la condotta tenuta dalla ricorrente, per come emersa sulla base degli elementi acquisiti, integra la violazione degli obblighi di diligenza e di buona fede nell’espletamento della prestazione da parte della lavoratrice e non può, dunque, ritenersi di per se legittima. Sempre alla luce del complessivo quadro probatorio deve fondatamente escludersi che la decisione del datore di lavoro di porre fine al rapporto lavorativo sia stata determinata, per contro, dalla presentazione della domanda ex lege n. 104/1992 quale motivo esclusivo del recesso datoriale“.
Data rilascio: 18.2.2019