Lo scorso 26 Settembre l’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale ha pubblicato un comunicato, tramite cui ha reso nota la decisione della Corte di dichiarare l’incostituzionalità del criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento. Ad oggi però siamo ancora in attesa del deposito della sentenza, attraverso cui poter conoscere nel dettaglio i contenuti ed i fondamenti di tale pronuncia.
L’indennità di licenziamento, spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato, è stata introdotta dal Jobs Act (D. Lgs. 23/2015) e successivamente il Decreto Dignità (D. L. 87/2018), ne ha rafforzato il carattere dissuasivo, incrementandone i limiti minimi (da 4 a 6 mesi) e massimi (da 24 a 36 mesi). Con il comunicato, tuttavia, la Corte ha fatto sapere di aver dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo 23/2015, nella parte – non modificata dal Decreto Dignità- sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, che recita:
“Nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità”.
In base a quanto pubblicato sul sito istituzionale, il suddetto comma “determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato” , mentre la previsione di un’indennità crescente, in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore, è “contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza”nonché“contrastante con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione”.
In relazione alla violazione del principio di eguaglianza, la norma genera, infatti, un trattamento irragionevolmente disuguale sia tra i lavoratori licenziati con provvedimenti affetti da illegittimità ovvero da vizi meramente formali, tutelati tutti con un indennizzo di identico ammontare, sia tra lavoratori assunti prima e dopo il 7 marzo 2015 (data a partire dalla quale il Jobs Act fa riferimento, per poter accedere alle garanzie previste).
Diversamente, per quanto concerne i principi di tutela del lavoro, la quantificazione dell’indennità che si basa sulla sola anzianità di servizio del lavoratore, non può non considerare tutti i diritti dei lavoratori costituzionalmente tutelati, quali la libertà sindacale, la libertà di espressione e di dissenso, la difesa della dignità quando essa sia minacciata dai superiori.
Rimaniamo dunque in attesa del deposito della sentenza, atteso nei prossimi giorni.
Data rilascio: 12.9.2018